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Introduzione

Un po’ di ontologia? Ma sì.
Che cosa c’è? Come minimo c’è chi fa questa domanda.
E questo qui ha la pretesa che ci sia qualcos’altro… il mondo?
E va bene, mettiamola così: c’è uno che fa domande e c’è il mondo.
Questo che fa domande potrebbe avere la presunzione di pretendere di conoscere il mondo. Oppure che tutto quello che conosce è il mondo. Oppure potrebbe pensare che c’è qualcosa che lui non riuscirà mai a conoscere.
Intanto però l’ha pensato, direbbe un certo Kant.
C’è uno che conosce qualcosa, ma c’è qualcosa che lui non riesce a conoscere, non perché gli manchino i mezzi e il tempo (anzi, sono proprio questi che il soggetto conoscente ha), ma perché quella cosa che non riesce a conoscere è costitutivamente esclusa dalla possibilità di essere conosciuta.
Questo ultra-qualcosa lo chiamiamo t r a s c e n d e n t e.

Possiamo anche rifugiarci in una prospettiva fenomenologia e dire che quello che c’è lo possiamo conoscere, si dà ai nostri sensi e ai loro prolungamenti strumentali – spade, bastoni, telescopi, microscopi elettronici.
Allora, in questo caso, trascendente è questo fatto misterioso, che permette a quel qualcuno di conoscere il mondo così come il mondo si presenta: la p e r c e z i o n e. Che non è la sensibilità; è quell’attività che ci fa dire, o il fatto che noi diciamo, che siamo in contatto con il mondo.
A noi cos’è che importa? Che la macchina non ci lasci a piedi in autostrada, che la carne sia fresca, che un virus non ci blocchi il computer o l’intestino.
Che l’automobile, la carne o il virus siano oggetti del mondo, oggetto di discussione o files del Matrix non è al momento una questione così importante. Ma può andare bene per passare una serata tra amici.
Trascendente è l’orizzonte della coscienza o ciò che la contiene e la rende possibile.
In generale, trascendente è – dal punto di vista evolutivo – il genere umano rispetto alla materia (vivente).

L’uomo di Calcutta che si immerge nel Gange è trascendente per il broker di New York (o per il giovane imprenditore di Treviso, l’operaio di Vicenza, l’agente pubblicitario di Milano, il ricercatore universitario di Chieti), e viceversa.

Allora noi ci occuperemo del trascendente, ma dalla parte dell’uomo di Calcutta, e questo non per velleità terzomondiste, ma per questo motivo: se il broker di New York pensa all’uomo di Calcutta come al trascendente, allora mente a se stesso.
Se invece il broker e tutti quegli altri vedono il trascendente nella discoteca (che ha scippato il sacro e il trascendente alla chiesa, come d’altra parte già la chiesa aveva fatto con altri luoghi) o in alcune sostanze chimiche o nelle pratiche dell’esoterismo, dello spiritismo, del fitness, del trascendentale o della New Age, allora forse vedono giusto, solo che vedono corto.
Certamente! L’ideologia del mercato produce trascendenza da pochi soldi, in offerte di pacchetti turistici (per turisti impacchettati), o in occasioni da sabato sera in abiti azzimati, con la camicia bianca e la cravatta blu, o in tenute sciatte predisposte con la massima cura, incatenate e pseudo-spettinate.
Noi possiamo immaginare che l’uomo di Calcutta viva come trascendente la propria condizione o che la viva in funzione della trascendenza: ma non l’uomo di New York la propria – o quantomeno, ci verrebbe difficile pensarlo.
È l’uomo di New York ad ammettere come trascendente una condizione estranea alla propria vita.
Tutto questo a meno di una verifica: domandiamo all’uomo di Calcutta che cos’è trascendente per lui: se ci dice che è la sua vita, abbiamo avuto ragione. Se ci dice che è qualcosa di estraneo/esterno alla sua vita e al suo corpo, trascendente potrà essere qualunque vita e qualunque corpo. Se per un indiano o un platonico il mondo reale è il sopra-naturale, cioè lo vede trascendente, allora trascendente è questa sua esperienza di vedere il trascendente.
La trascendenza è la condizione del pensiero indo-occidentale.
Molto probabilmente l’uomo di Calcutta non dirà niente o domanderà soldi per le sue cianfrusaglie o per dirci qualche stupidaggine.

Lui, tuttavia, a differenza delle ciurme di occidentali che vanno a zonzo per la sua città, non va in via Montenapoleone e neppure in Duomo in cerca di trascendenza: perché? Perché la sua vita è totalmente immanente al suo corpo materiale, che è ciò a cui noi occidentali attribuiamo la trascendenza.
Siamo noi che possediamo la trascendenza, e per questo siamo nella condizione teoretica di poterla andare a cercare.
È l’occidentale che pensa al proprio corpo dal di fuori e vive al di fuori di esso.
E in fondo il senso dell'”esotico”, che è tipicamente europeo, è un’immagine tattile della trascendenza.
La trascendenza permea così tanto l’Occidente, da poter assumere in quest’epoca neo-barocca le forme inusuali e materiali, paracorporee delle mode commerciali – compreso l’esotico e anche l’esoterico -, e ora dell’informatica e dell’intelligenza artificiale: tanto, quindi, da avere ovunque un prezzo, da diventare ovunque consumabili.
Tutti gli esseri umani, forse, hanno aspirazioni trascendenti, ed infatti, inizialmente, proprio le religioni, rappresentando nelle rispettive liturgie e gerarchie la tensione dell’esperienza umana al trascendente, hanno incrementato il peso e la distanza del trascendente.
Le religioni, con liturgie corporee, le filosofie, con liturgie del discorso, la scienza, con liturgie strumentali, rivolgendosi direttamente al trascendente o anche negandolo, circoscrivendolo, ne hanno reso più acuta (cioè più acuti gli angoli fra immaginarie e linee prospettiche) e profonda la prospettiva.
Il risultato è che alcuni uomini si arrogano il diritto di contemplare o manipolare il trascendente, respingendo altri uomini verso la sua immagine soprannaturale – Dio o Mercato che sia (sebbene la filosofia, quantomeno dallo Spinoza del “Trattato teologico-politico” in poi, non riconosca differenze tra i due).

Perché – sia detto esplicitamente – trascendente è la condizione umana; non quella che è nell’istante, ma quella che vorremmo che fosse, cioè la possibilità di volere come sia e che sia, non a chissà quale distanza di tempo e di spazio o addirittura fuori dal tempo e dallo spazio.
E se qualcuno ritiene che un occidentale sta bene quando ha abbastanza soldi (da cento milioni a cento miliardi all’anno, a seconda di chi si frequenta) ma poi gli manca la spiritualità e allora segue corsi di meditazione (un’ora e mezzo la settimana) o va in analisi o va in India dall’indiano; il quale indiano potrà star bene se raggiungerà il Nirvana ma intanto sta in mezzo alla merda perché nella vita precedente era un broker bastardo di New York; allora quel qualcuno vada a passare sette anni in Tibet (sotto occupazione cinese) e poi altri sette in un monastero benedettino in Italia.

È forse il nostro un modo di vedere immanentista, antroposofico-esistenzialista?
Sì, se pensiamo che la questione sia filosofica.
In realtà è una questione di cui si dovrebbe occupare la politica.
Se la politica è in difficoltà con qualche problema, lo passa alla filosofia.
Se i filosofi interessati sono al posto giusto e godono di emolumenti adeguati, spostano l’orizzonte del discorso verso i confini dell’esprimibile, del praticabile, dell’umano. Il che può situarsi il più esternamente possibile alla persona, o il più profondamente possibile in essa.

L’attuale è un epoca di immagini cangianti e di translucidità semantica. Si nota ad esempio nello slittamento dei significati di parole come:
economia ed ecologia:

  • economia è il trascendente,
  • ecologia è investita degli ambiti dell’economia;

sociale ed ambientale:

    • sociale è il trascendente;
    • attualmente, occuparsi degli ambiti dell’attività umana vuol dire riguardare l’ambiente, quasi all’interno di una concezione animistica.

Noi, proprio noi che scriviamo, vorremmo esprimere la trascendenza della condizione umana.
Detta così sembra grossa. Ma il fatto che sembri grossa è un’illusione prodotta dalla scuola o dall’università.
Sbirciamo il trascendente nei suoi elementi minimali. Quelli che ci vengono dalla filosofia, dalla poesia, dalla letteratura, dalla scienza, dalla religione, imparate a scuola o captate dai famigerati mezzi di comunicazione.
Sono le cose di cui la condizione umana è, appunto, condizione; le medesime cose che, a loro volta, condizionano, in-formano la condizione umana.
A tutti dovrebbero essere concesse: libertà, uguaglianza, fraternità.
E trascendenza: non quella fittizia dell’ultraterreno, del mistico, dell’esotico, dell’esoterico, della fiction o della fashion, ma qualcosa grazie alla quale uno di New York e uno di Calcutta stiano bene.

Quando abbiamo scritto questa introduzione, non immaginavamo che il Trascendente potesse fare irruzione così di buon’ora proprio nell’esistenza di coloro che abbiamo citato a titolo antonomastico. Come se quello che abbiamo scritto fosse la parodia ironica di quello che è accaduto, o quello che è accaduto fosse la parodia tragica di quello che abbiamo scritto. Ma tant’è: non potevamo menzionare il bambino palestinese che corre il rischio quotidiano di essere ucciso, o l’uomo tutsi – uno dei 700.000 uccisi nel 1994 nella guerra civile in Ruanda – ; purtroppo proprio il broker di New York, fra gli altri, faceva al caso del nostro proposito di individuare una figura emblematica di uomo americano o occidentale.
Il Trascendente non è il dio fallico-spada-infuocata dell’Islam, contro il dio-seno di acciaio-vetro-cemento o vagina pentagonica degli Americani; non è il dio di una fazione islamica che contende il predominio ad un’altra; non è nemmeno il dio dei poveri contro il dio dei ricchi; ché sono tutti più o meno lo stesso dio.
La Storia – quella che per primi scrivono Ganesh, un dio dalla testa di elefante, e Gilgamesh, un eroe per due terzi uomo e per un terzo dio; e poi gli uomini della Genesi e dell’Esodo, fino a Giobbe e ai Profeti, ai quali YHWH dà leggi e con i quali intrattiene rapporti personali e stringe patti – associa fin dall’inizio vicende di popoli a vicende divine.
Ma il Trascendente di cui diciamo noi non sta nei cieli o nei chip; invece si nutre di vittime sacrificali, assiste a rivoluzioni, guerre, migrazioni; di queste le ultime hanno configurato il cosiddetto “Occidente”. Esso, infatti, non è il luogo determinato dove tramonta il Sole, perché il Sole sorge su Palm Beach come tramonta sul Paese del Sol Levante. “Occidente” è l’andare seguendo il corso del sole, cioè la direzione delle più recenti migrazioni della specie Homo Sapiens Sapiens.

Questo Trascendente è la controparte non genetica della mutazione. Si può servire degli dei minori della Paura, della Speranza e dell’Odio, a cui dà in pasto le vittime sacrificali che gli offriamo.
Posto così sembra che noi enunciamo una tautologia. Abbiamo stabilito che trascendente è la condizione umana, e la condizione umana, come tutti sanno, è soggetta al mutamento. Ma tutti lo sanno? Dovrebbero; se seguissero le famose lezioni della storia, o della storiografia. Ci sembra, invece, che la storiografia, nelle persone appunto di quelli che la scrivono, non faccia altro che invocare la Necessità, ognuna per giustificare la propria “condizione”, legittimando sequenze causali. O almeno ci sembra che di questo mutare della condizione umana ci sfuggano le leggi. Alcuni vorrebbero formalizzarle queste leggi, come leggi della cosiddetta “Economia” che, a quanto pare, o sono insufficienti o sono addirittura inutili. Bisognerebbe almeno associarle alla fenomenologia dei sentimenti, delle emozioni, dell’inconscio, le cui “leggi” però non sono formalizzabili. O, comunque, chi studia presumibili o eventuali leggi di sentimenti, emozioni, inconscio, non si occupa di quelle dell’economia e viceversa.

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